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BUSETO PALIZZOLO
Il borgo di Buseto, nato per spontanea aggregazione sul finire del Settecento, è legato da vincoli amministrativi e socio–economici alle vicende storiche di Monte San Giuliano, l’odierna Erice e, più in generale, alle vicende dell’isola.
Nel 1871, il comprensorio di Buseto Palizzolo, con Ballata, Piano Neve, Bruca, Buseto centro, Buseto soprano e le case sparse, contava 3.338 abitanti. Nel 1901 ne contava 7.111. Sulla metà del Novecento le frazioni erano ormai realtà urbane consolidate.
L’antico capoluogo, Monte San Giuliano, a causa della migrazione nelle sue fertili contrade, vedeva scemare la popolazione dai 12.000 residenti del 1700, a poco meno di 4.000.
L’attività agricola a valle si rivelò per la città di Erice, ridotta unicamente a sede burocratica del potere politico – amministrativo, la più preziosa risorsa economica.
La diversità d’interessi tra la Vetta e le sue contrade, fu perciò causa di sempre più profondi dissensi.
Nelle frazioni, maturò una coscienza che tendeva decisamente verso l’autogoverno.
Buseto ottenne l’auspicata autonomia comunale il 4 Luglio 1950. Con l’autonomia, al toponimo originario Buseto fu aggiunto l’appellativo Palizzolo, per distinguere questo paese da altri con simile nome. L’economia prevalente di Buseto è ancor oggi quella agricola, anche se non mancano settori produttivi impegnati nell’artigianato e nella piccola industria.
Nel nostro tempo, la felice posizione geografica, congiunta alla bellezza naturale del paesaggio, contribuisce a far assumere al paese il ruolo di ricercato luogo di villeggiatura.
Il territorio è caratterizzato dalla presenza di numerosi bagli.
Perfettamente integrati nel panorama agricolo circostante, i bagli costituiscono una testimonianza storica preziosa della vita economica e della civiltà contadina locale.
Eretti in tempi ormai lontani a margine di un'agricoltura estensiva, questi edifici forniscono oggi ai turisti l'eccezionale opportunità di conoscere la cultura e le nostre tradizioni contadine con tutto il loro ricco corredo di usi, attrezzi rudimentali e strani marchingegni. Patrimonio dell'arte contadina, queste costruzioni recano i segni dell'opulenza dei signori che li possedevano.
Fra i più belli e noti bagli della zona il baglio Fontana, recentemente restaurato e restituito all'antico splendore, oggi divenuto incantevole sede di un fiorente e ricercato agriturismo, rispettoso della natura ed impegnato nel recupero e nella valorizzazione delle tradizioni e della civiltà contadina.
UNA PAGINA DI STORIA.
Tratto dal libro “I “picciotti” di Buseto”
del Dr Antonino Poma.
La mattina di venerdì 11 maggio 1860, le campagne di Buseto pullulavano di vita, quella dei contadini. Verso mezzogiorno in direzione di ponente, verso Marsala, si udirono lontani dei boati: «Sono cannonate!» - qualcuno gridò. Il sole baciava le contrade, si sentiva già l’aria dell’estate. In alto i nuvoloni strisciavano lenti e leggeri, si strappavano qua e là scoprendo pezzetti di cielo azzurro. Era una bella giornata! I colpi di cannone furono avvertiti in quasi tutti i paesi dell’entroterra, sino a Calatafimi, terra che presto verrà macchiata del sangue degli eroi. Da Calatafimi, il comitato segreto dei patrioti inviò un corriere a Marsala per informarsi dell’accaduto. Si pensò subito ad un’altra sollevazione. Le notizie erano incerte. Dappertutto la gente era pronta a rivoltarsi. Quella notte le montagne sembravano brulicare di ribelli: i fuochi accesi erano tanti e davano coraggio alle popolazioni, scoramento e paura ai soldati borbonici. Nella nostra borgata le sanguinose insurrezioni di popolo del 1820 e del 1848 erano passate quasi inavvertite. La vita dei nostri antenati, che nel corso del primo Ottocento vissero nelle nostre povere campagne, era trascorsa più che altro sul piano della quotidianità, lontana dai grandi fermenti. I tempi erano maturi. La mente della rivolta risiedeva nel popolo tutto: Garibaldi ne era l’emblema, la miccia che innesca la rivoluzione. Buseto era in quel tempo feudo dei Fontana e dei Bonura, due grosse famiglie borghesi, imparentate fra loro. Il paese contava circa 1.100 abitanti. Chi ha recato maggior lustro e decoro al nostro paese nel periodo storico del Risorgimento è sicuramente Giuseppe Bonura. A Giuseppe Bonura, va riconosciuto il merito di aver educato i busetani allo spirito unitario, destando in loro un primo embrione di coscienza nazionale. Il nostro piccolo paese di fatto diede un notevole contributo alla causa del Risorgimento italiano. Lo prova la nutrita schiera di picciotti che si unirono a Garibaldi. La storia ha sino ad oggi ignorato la vicenda del manipolo di volontari busetani, che con coraggio, con generosità, e col loro sangue, fecero l’Italia, se è vero che l’avventura dell’Italia cominciò da Calatafimi.
Immaginiamo, dunque, quello che accadde quel 12 maggio 1860 nel nostro paese. Mario Palizzolo, trapanese, aggregato alla spedizione dei Mille, invia da Marsala un messaggio all’amico Giuseppe Bonura: «Garibaldi è sbarcato! Raduna gli uomini, quanti più puoi e unisciti a noi sulla via per Salemi! ». Il Bonura senza indugio raggiunge l’amico Giuseppe Coppola, la dove lo aveva nascosto ai gendarmi. Insieme organizzano la spedizione. Coppola sul Monte aduna i volontari. Bonura corre nelle sue terre, a Buseto, dove conta di poter riunire una squadra con i suoi fedeli contadini. A Buseto prende subito contatto con il cugino Giuseppe Bonura, col genero Giuseppe Fontana, con Stefano Maranzano e altri amici e parenti. Tutti si danno da fare a radunare quanti più uomini possibile. Arriva a dargli manforte anche il figlio Pietro Bonura, che si trovava a San Vito. Fra i primi ad accorrere, Vito Pollina, suocero di Pietro Bonura, e i figli Ignazio e Pietro. È l’Ave Maria, bisogna far presto. Bisogna esortare gli uomini, convincerli che l’ora della rivalsa è scoccata. L’adunata davanti al sagrato della Chiesa Madre. La nostra Chiesa è la in alto al paese, tra il verde cupo dei fichi d'india e degli aranci cosparsi per il declivio, popolato di viti e oliveti, una chiesuola, un umile eremo. Ivi i contadini, prima e dopo il faticoso lavoro, si recano a pregare e a implorare grazie pel prosperoso raccolto. Ivi tutto il popolo di Buseto, nelle grandi calamità o quando un pericolo minaccioso incombeva, si raduna a supplicare ausilio e perdono dalla gran Madre Maria. Ai nostri contadini, svegliati di soprassalto, tornano in mente le cannonate udite nei campi la mattina a mezzo giorno. «Allora è la guerra! Questa volta si fa sul serio! ». Dopo un’ora si presentano un gran numero di persone, uomini, donne e bambini. Bonura è sulla porta della chiesa. «Vi porto buone nuove, sentite!». Si fa calca attorno a lui, per cui continua il suo breve discorso animosamente: «Sentite, il generale Garibaldi è sbarcato con le sue le truppe a Marsala. La città liberata è in festa. Occorre che andiamo armati a dar manforte al generale che marcia per Salemi. Dal Monte, da Trapani e da tutti i paesi partono volontari. Voi che fate? Vi manca il coraggio? Siete uomini?». Gli animi dei paesani s’infiammano: «A morte i borboni, andiamo ad ammazzare chi ci ha affamato!».
Non è esattamente così che si svolsero i fatti, ma mi piace immaginare che così fu. Sta di fatto che una squadra di volontari da Buseto partì sul serio agli ordini del Bonura, seguendo il grosso dei volontari di Coppola, e con questi si riunì, all’alba del 13 maggio, alla colonna di Garibaldi in località Rampigallo. Due giorni dopo, a Calatafimi, l’epica battaglia che consegnerà alla Storia i nostri valorosi concittadini. Pur non conoscendo episodi e fatti particolari che ne rivelino l'eroismo, i «picciotti» busetani fecero di sicuro il loro dovere in quella gloriosa giornata. La prova si ha nel fatto che più di uno di loro col suo sangue imporporò le zolle del fatidico colle, ove più violenta fu la battaglia, e per questi atti d’eroismo furono insigniti di medaglia al valore. Fra questi cito:
- Castiglione Giuseppe di Vito, medaglia di bronzo;
- Coppola Giovanni Battista, ferito alla mano sinistra;
- La Porta Vito, ferito alla gamba a Calatafimi;
- Maranzano Stefano, medaglia di bronzo;
- Pollina Ignazio, medaglia di bronzo;
- Pollina Pietro, medaglia di bronzo;
- Pollina Vito, medaglia di bronzo.
Eleviamo, dunque, ora le nostre Bandiere, le nostre voci e i nostri cuori e rendiamo onore ai volontari «garibaldini» della generosa terra di Buseto Palizzolo.